L’integrità etica nei rapporti sociali, professionali e internazionali

Pubblichiamo con grande piacere l’articolo del nostro socio Silvano Marseglia:

L’appannamento o, addirittura, la perdita di fondamentali e condivisi valori di riferimento che registriamo al giorno d’oggi, sta minando alla radice lo sviluppo sociale e la convivenza civile dei popoli. Sembra che valori, ideali, moralità e legalità abbiano abbandonato il mondo operativo.  Diviene così pressante una riflessione, anche per noi Rotariani, su come invertire questa pericolosa linea di tendenza per proporre, in modo sempre più efficace, autentici percorsi etici di sviluppo e di coesione sociale. Il Rotary può e deve portare il suo importante ed essenziale contributo preparando le nuove generazioni alle attività future  con la nostra etica del disinteresse personale e della dedizione alla comunità. E’ necessario far  scendere in campo la nostra azione e i nostri valori di vita, con un forte richiamo all’integrità etica, per tentare di portare il nostro aiuto sociale e, soprattutto, morale a tutta  la comunità.

Il tema dell’integrità etica va affrontato, pertanto, nell’ambito della nostra attuale situazione sociale e culturale. L’etica non è qualcosa di frenante, bensì di liberante. Certo, alcune volte dice “no”, ma questi “no” sono le conclusioni logicamente coerenti di altrettanti “si”. Infatti per custodire seriamente e per promuovere efficacemente un bene, un valore, diventa necessario accettare una rinuncia o un divieto. Ma una simile rinuncia ed un simile divieto solo apparentemente potranno dirsi un freno ed un limite. In profondità, infatti,  si configurano come una liberazione, una promozione, una ragione di crescita e di perfezione.

L’etica, tra l’altro, non è qualcosa di estrinseco alla persona: non è imposta dall’esterno, ma è stampata dentro la persona. In altri termini non sono gli altri che impongono a noi le esigenze etiche ma sono istanze che provengono da noi stessi, ossia, dal nostro essere persona, considerata nella sua struttura, nei suoi dinamismi e nelle sue finalità. L’etica, infatti, è una istanza della persona come tale che scorre tra due poli. Il primo polo è il vero bene dell’uomo: questo vero bene è il fine, il senso, la meta del vivere e dell’operare dell’uomo. L’uomo è fatto per il vero bene; solo se desidera, ama e compie il vero bene, si realizza compiutamente, porta a compimento la sua “umanità”. Il secondo polo è la libertà di cui l’uomo gode. Di fronte al vero bene l’uomo è libero, e con questa libertà egli tiene in mano se stesso attraverso una duplice possibilità di azione: azione arbitraria con possibilità di scelta tra il percorrere o meno la strada del vero bene ed azione responsabile di totale adesione ai principi dell’etica. E’ questa la vera libertà, quella che consente all’uomo di comportarsi eticamente, e dunque pienamente coerente con i suoi valori. L’etica, quindi, non è solo conoscenza dei veri valori,  ma è anche impegno per la loro realizzazione. Conosco il bene e voglio liberamente compierlo.

La società, purtroppo, molto spesso, invece di promuovere atteggiamenti  positivi e creativi necessari al successo dell’azione ed il cui risultato è utile a chi agisce ed anche agli altri,  sollecita  atteggiamenti  antitetici  al rispetto dei veri valori.  Agire, eticamente, secondo valori vuol dire condividere con gli altri i principi d’azione da rispettare; è sapere dove sono i confini tra bene e male, tra giusto e ingiusto, tra lecito ed illecito; è sapere che esistono dei limiti che non vanno oltrepassati; è agire senza calpestare gli altri;  è creare rapporti ed è rispetto per gli altri. Purtroppo spesso domina il narcisismo che è negazione di tutto ciò: il narcisista agisce mirando unicamente ai suoi scopi, calpestando i rapporti mediante  la distorsione della realtà.

L’integrità etica deve essere una guida anche nell’attività professionale. Ogni professionista è, certamente, consapevole di dover adeguare il proprio comportamento alle norme che regolano il codice deontologico del proprio Ordine, tuttavia esistono delle condotte che, qualora perpetrate, pur non essendo previste e punite disciplinarmente e non costituendo un illecito disciplinare, si concretizzano di fatto in un “illecito etico”.

Si deve constatare che ,a volte, l’attività  professionale, prescindendo da ogni valutazione che tenga conto di valori etici,  si rivolge sempre più al perseguimento di fini immediati che finiscono per soddisfare forme di egoismo individuale  ponendosi di fatto in contrasto con l’interesse generale della Società intesa nel suo complesso.

Tale stato di cose è ciò  che è ormai da molti percepito e qualificato, giustamente, come “crisi di valori”.

E’ una crisi, questa, alla quale bisogna reagire interiorizzando  il concetto importante del binomio “lavoro e coscienza”.  Perché  non deve esistere  lavoro senza coscienza.  Quando si perde la coscienza, infatti,  si annichilisce l’uomo. In sostanza è  ineludibile il legame del  concetto di professione con il concetto di etica. Le professioni oggi sono diventate delle vere e proprie forze sociali, e la presenza di un’etica atta a regolare i comportamenti dei membri è importante per definire la loro identità. Il lavoro professionale è, in questa epoca, quello che più conta, che più incide sui meccanismi di una società la cui produzione è fondamentalmente basata sulla conoscenza scientifica e tecnica. Il peso che assume il lavoro professionale in una tale società conferisce dunque un particolare ruolo sociale ai professionisti che lo attuano.

Qualcosa del genere sembra potersi dire anche del rapporto tra politica internazionale e giudizio morale. Non c’è azione politica di rilievo o accordo internazionale  importante che non sia stata accompagnato da valutazioni etiche intorno ai diritti dei contendenti, al rapporto tra gli eventi e le regole di giustizia, alla correttezza delle condotte. Gli stessi politici hanno dato e danno, a volte, giustificazioni delle proprie azioni non soltanto in termini di adeguatezza all’interesse nazionale, ma anche, sempre più spesso, di moralità.

È dunque opportuno, anzi necessario, elaborare una teoria morale della vita internazionale. E’ questa una necessità proprio oggi, in un momento in cui il rapporto tra gli stati vede scosso dalle fondamenta il proprio assetto e pare incapace di trovare nuove immagini coerenti e nuovi modelli con cui riflettere su se stesso.

Gli Stati sono portatori di doveri come di diritti; e tali doveri non riguardano solo il comportamento verso altri Stati ma anche verso gli individui. Stati ispirati ad una logica di rispetto dei diritti umani al proprio interno non possono fare eccezioni a tale logica quando agiscono fuori dei propri confini.  Il compito morale degli Stati è di essere giusti nei confronti degli individui, e su tale base dobbiamo giudicarne il comportamento. Questa conclusione mette in discussione l’attività  internazionale corrente abituata a considerare oggetto di riflessione la giustizia e la moralità  solo all’interno delle singole entità statuali. Il ruolo della moralità non è lo stesso a livello interno e a livello internazionale. Le decisioni di un governo relativamente a politiche che riguardano i suoi cittadini sono sempre materia di scelta, e sovente di scelta morale. Ogni ragionamento morale che trascuri la dimensione della globalità, ogni posizione  che pensi che la moralità abbia dei confini, non tiene conto  della eguale dignità tra gli esseri umani. Andrebbe favorito, a questo scopo, il dialogo tra le parti. Il dialogo dovrebbe essere riconosciuto quale mezzo mediante il quale le varie componenti della società possono articolare il proprio punto di vista e costruire il consenso attorno alla verità riguardante valori od obiettivi particolari.

Silvano Marseglia
Presidente Europeo AEDE
Commissione Cultura, Immigrazione e Mediterraneo
Consiglio d’Europa – Strasburgo